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Copyright Archivio Ugo Carrega 2019
 

La scrittura attiva. Introduzione (1980)// testo di Ugo Carrega

La scrittura attiva. Introduzione (1980)// testo di Ugo Carrega

La storia della scrittura è attraversata da due grandi correnti: una, che coincide con la necessità dell’uomo di affrontare la natura per sopravvivere (e che definirei materialista); un’altra, che coincide con la necessità dell’uomo di conoscere se stesso per essere presente nella lotta (e che definirei psichica).
La scrittura materialista risponde alle necessità dell’uomo di registrare gli avvenimenti civili e religiosi. È con l’agricoltura e la proprietà (comune e privata) che essa nasce nella sua mitografica primitiva. Nasce per testimoniare la presenza. È la scrittura della comunità. È la lingua.
La scrittura psichica non nasce da certezze, da cose registrabili, da avvenimenti; nasce da ciò che non si sa e che si cerca di sapere, è il momento ri-flessivo dell’uomo che indaga l’io, il rapporto dell’io col d-io. È la scrittura del mito, della divinità esoterica, del mistero (non della religione, che di ciò è la prassi). È la scrittura che sta prima del peccato originale. È la traccia delle dita strisciate sull’argilla a testimoniare l’esser-ci. Nasce per testimoniare l’assenza.
È la scrittura dell’individuo. È la parola.
La scrittura materialista, ai fini della registrazione necessita significato. La scrittura psichica necessita senso. La scrittura materialista comunica. La scrittura psichica esprime.
È la scrittura fonografica, i cui segni sono simboli di suoni verbali, che, pur consentendo il grande progresso dell’uomo, unifica i due momenti. Ma la scrittura fonografica è attraversata, per tutto il corso della cultura occidentale, da questi due momenti delle origini, sotto forma di concettualità opposte, di dialettica del pensiero.
Oggi ancora c’è una scrittura del potere (essoterica) che registra gli atti degli uomini e una scrittura che, utilizzando la precedente, la travolge diversificandone l’uso (da proprio a figurato). Ma il significante scritto è ormai divenuto “significante di significante”.
Così, oggi c’è un uso materialista e un uso psichico dello stesso sistema di scrittura fonografica in cui il significante grafico, il segno, la sua modalità visiva e materica, il significante in quanto materia del significato, è stato annullato a favore di un significante strumento passivo della “voce”, della lingua.
L’intervento individuale, sulla parola, è così relegato al mondo della sintassi.
Viviamo in un momento storico in cui le conoscenze, e l’informazione atta a distribuirle, sono vastissime. La domanda che ci si pone è: la scrittura fonografica è in grado di registrare adeguatamente tutte le conoscenze? È in grado di essere una scrittura del Totale?
Se, da profani come me, cercate di capire certe esperienze della fisica post-einsteiniana, chi vi aiuterà si servirà di grafici, immagini, macchinari, ecc., perché le parole “comuni” non bastano e le parole “scientifiche” richiedono difficoltose specializzazioni che assorbirebbero ogni altra attività.
La svolta copernicana era garantita dalla scrittura fonografica, ciò che affermava era “comprensibile”. Oggi le cose sono cambiate. Non potrebbe esserci utile una scrittura che non sia soltanto fonografica?
Un mutamento è già in atto, e da considerevole tempo, nella nostra civiltà: la scrittura ci parla sempre di più mediante fenomeni legati all’uso del sistema alfabetico ma che fonografici non sono. Mi riferisco, per esempio, alla collocazione di un articolo nello spazio delle pagine di un quotidiano.
“L’articolo di Montanelli è in prima pagina” conferisce una particolare qualità all’articolo ancor prima che esso venga letto. Altri fenomeni possono essere: la differenziazione dei caratteri e dei loro corpi; l’associazione di un testo e delle immagini; il tipo di impaginato; il tipo di carta e di formato; e così via.
Per specificare ulteriormente cosa intendo, prendo ad esempio la segnaletica stradale e, in particolare, un segnale rettangolare con scritto sopra MILANO. La parola viene letta e subito interpretata; il rettangolo viene visto, non letto, e interpretato: “Da qui in poi c’è Milano”, “Sono arrivato a Milano”. Se uno dei due lati minori fosse a punta, dovrei pensare: “Da quella parte vado a Milano”.
Questa scrittura è composta quindi di segni verbali (che cioè rimandano a due suoni, come Milano) e di segni visivi, che rimandano a un oggetto, a una funzione, ecc. (ed entrambe le categorie di segni sono ovviamente convenzionate).
La poesia visuale, nei suoi venti anni di operatività, ha cercato di evidenziare questi processi.
Una scrittura nuova dovrebbe adesso sapere usare i fenomeni appresi per esprimere il mondo individuale dell’artista.
Mi spiego: se siamo d’accordo che una lettera scritta a un amico ha differenti connotazioni se è scritta a mano, battuta a macchina o è stampata, nel caso del fatto artistico, creativo, che non tenta una strada funzionale, nel momento in cui l’autore volesse dare rilievo particolare a un proprio testo, potrà usare uno dei tre tipi di “scrittura”; ciò restando all’interno della scrittura fonografica stessa.
L’esempio è ovvio, ma è su queste ovvietà che si opera per modificare la scrittura. Si tratta di impadronirsi dei processi di scrittura-mista già in atto e utilizzarli per un fine espressivo che non è contemplato nella scrittura-in-quanto-tale.
La scrittura non è tenuta in conto appunto perché è “banale” come il tono di voce nel dialogo. Una stessa parola pronunciata in modi e toni diversi ha significato diverso.
Una scrittura nuova non tenta più un adeguamento dallo scritto al parlato, ma tenta una strada autonoma in cui i processi semiotici (della significazione) interni allo specifico scrittorico vengono utilizzati consapevolmente per un adeguamento alla realtà del mondo e non a quello della parola.
La scrittura, in altre parole, vuole liberarsi dal gioco di essere segno della voce. Una scrittura, insomma, che non è più per la voce ma direttamente per la mente.
Questa scrittura nuova non si pone dunque al servizio che di se stessa. Ma per giungere a questo punto ha dovuto liberarsi da concetti categoriali quali “letteratura”, “poesia”, “pittura”.
Alla scrittura nuova non interessa il dibattito “artistico” o “estetico”. Interessa inventare un nuovo modo di de-scrivere il mondo, senza più preoccupazioni di tipo artistico/letterario.
Siamo quindi alle soglie di una nuova era della scrittura. Non so quanto il cinema e la televisione (forme di scrittura dinamica in cui sono postulati principi analoghi alla scrittura statica, con la sola differenza che cinema e televisione sono “orali” nel senso che durano il tempo della fruizione) possano aiutare la scrittura nuova, che è statica e necessita di un supporto. Anche il supporto, la cosa su cui si scrive, entra nel complesso gioco di una scrittura nuova: la parola amore scritta su un foglietto è ben diversa che la stessa parola scritta a lettere cubitali con uno spray sul muro di una strada.
Credo che nemmeno alle origini le due scritture, materialista e psichica, fossero nettamente distinte. Differenziate dovevano essere le motivazioni che spingevano l’uomo a “scrivere”, a segnarsi fuori del sé, motivazioni di cui ho detto all’inizio: il controllo della natura, da una parte; il controllo del rapporto dell’uomo con se stesso nella sua collocazione nella natura, dall’altra.
La scrittura fonografica ha unificato nel segno questi due momenti, materialista e psichico, della scrittura; ma il significato si è preso una rivincita: infatti il segno “parola” (che tutto può dire) può avere un doppio uso, proprio e figurato, che sposta nuovamente le possibilità comunicative/espressive.
La volontà di sopravvivenza ha condotto l’uomo a inventare sistemi di segni che gli permettano il controllo del “naturale” prima, e del “sociale”, poi. La scrittura psichica, della traccia, del verdersi-fuori-di-sè, viene sopravanzata. La poesia diventa il mistero, il canto, la metafora, ecc. quando l’alfabeto impelle, urge: chiamare poesia certi testi egizi o greci è spesso fuori luogo: è con la lirica e la musica (la melopea) che la poesia è di “parola”, è suono, è VOCE! La scrittura è al servizio della voce, in poesia. Il vero significante è la voce e non lo scritto che lo imprigiona.
La conoscenza dell’interiorità umana viene sviluppata dalla voce. Di questa interiorità si occupa poi anche la scienza: ed è il significato che impera.
Una strada è quella del recupero del significante della scrittura originaria: ma non possiamo abbandonare più la scrittura “fonografica”. Allora essa deve essere un significante in più fra i mille esistenti.
Questo scritto non trova giustificazione o esemplificazione nelle opere degli artisti, ma al contrario da esse nasce nella frequentazione: prima come osservazione di singole opere; poi come studio di opere riunite a gruppi che davano senso a un modo di operare (a un processo).
Il lavoro di alcuni autori è più ampio, o non si rivolge che in parte alla scrittura. Io ho tenuto presente la parte che mi aveva sollecitato l’identificazione, insieme ai lavori di altri, di uno di questi processi.

 

U. Carrega (a cura di), Scrittura attiva. Processi artistici di scrittura, Bologna, Zanichelli Editore, «Quaderni di design», n°8, 1980, p. 4-5.